lunedì 6 luglio 2009

L’insostenibile pesantezza delle Coop

Cosa sono le società cooperative? La definizione è quella di una “società nella quale almeno tre soggetti gestiscono in comune un’impresa, che si prefigge lo scopo di fornire innanzitutto agli stessi soci quei beni e servizi per il conseguimento dei quali la cooperativa è sorta”.
In altre parole, caratterizzante della cooperativa è il cosiddetto “scopo mutualistico”, il quale, insieme ai principi di “solidarietà e democrazia”, ne costituisce l’essenza primaria.
La materia è disciplinata, oltre che da varie disposizioni speciali, dal codice civile, ma senza voler compiere qui una disamina approfondita possiamo dire che gli scopi mutualistici e solidaristici la caratterizzano a differenza degli altri tipi societari, nei quali invece lo scopo è costituito dal “lucro”.
Pare possibile ragionevolmente applicare i detti principi - senza incorrere nel ridicolo - ad enti quali le banche di credito cooperativo (che dovrebbero agire per realizzare eque politiche del credito, discostandosi da logiche di mero guadagno), o alle grandi cooperative che operano nel settore sanitario, o addirittura alle cosiddette cooperative di consumo (che dovrebbero essere mosse dal fine di acquistare e rivendere a prezzi vantaggiosi, per i soci, beni di consumo di qualità), quali ad esempio il gruppo CoopItalia, che come abbiamo visto detiene un fatturato di dieci miliardi di euro annui (una finanziaria…), e gestisce quasi il 20% delle quote di mercato?
Mi pare che la domanda non sia lecita neppure in forma scherzosa.
Ma perché dovremmo essere interessati ad una simile questione? La ragione è semplicissima: perché, allo scopo di tutelare i particolari fini che abbiamo visto sopra, la legge prevede una serie di previsioni fiscali di assoluto favore (quali, senza entrare nei dettagli, la deducibilità del 70% dell’IRES dalla base imponibile, la deducibilità integrale degli utili destinati a riserve obbligatorie, e quella del 70% degli utili destinati a riserve volontarie), in virtù delle quali le cooperative aderenti a CoopItalia versano allo Stato italiano circa la metà dell’IRES versata dagli altri operatori economici.
Ciò non determina solamente un notevolissimo risparmio, quantificabile nella stessa misura del minore introito fiscale: ciò altera le condizioni del mercato, in quanto consente a questi colossali operatori economici di godere di una eccezionale liquidità da immettere sul mercato, con gli intuibili effetti distorsivi della libera concorrenza nei confronti degli altri operatori che si trovano dunque ad operare in condizioni di svantaggio.
In pratica, nel silenzio assordante dei media e della politica, ci troviamo di fronte a soggetti che, avendo perso nel tempo completamente la loro origine cooperativa correttamente intesa (come sopra chiarito), sono posti nella condizione di potersi giovare di enormi aiuti di Stato (vietati dalla Comunità europea), alterando le regole del libero mercato, nel quale gli operatori dovrebbero muoversi in condizione di parità.
I risultati di questo tipo di politica sono evidenti: CoopItalia ha acquistato nel corso degli anni una leadership assoluta (assolutamente artificiale), valendosi di tutele che la proteggono da quei rischi di impresa che valgono solo per gli altri operatori economici (chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, può leggere “Falce e carrello”, il libro di Bernardo Caprotti che ha squarciato almeno parzialmente il velo che nascondeva alla pubblica opinione questa miseranda realtà tutta italiana (
http://www.confronto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1251:un-libro-qbombaq-riapre-il-fronte-coop&catid=65:2-riconquistare-competitivita&Itemid=69).
Negli ultimi mesi, come è noto, abbiamo ancora una volta assistito (non posseggono pudore) alla rappresentazione teatrale della solita banda.. dei fascimpresisti riuniti, che hanno portato l’ennesimo attacco alle pensioni: ma nessuno parla della necessità di armonizzare obblighi fiscali e contributivi per tutti gli operatori economici che svolgono attività similari, realizzando una concorrenza meno iniqua e giusti maggiori introiti per le casse dello Stato.
Io mi sono però posto una domanda: come mai questa vicenda vergognosa non solamente non è all’ordine del giorno, ma è praticamente misconosciuta dalla pubblica opinione?
Eppure, si tratta palesemente di colossali aiuti di Stato ingiustamente elargiti a settori produttivi “in quota sinistra” (non è certo casuale la localizzazione dei centri di potere di questi interessi, la loro origine in prevalenza della Toscana e dell’Emilia Romagna): perché la destra non ha mai posto il problema?
Perché, con una crisi come questa alla quale far fronte, non si è ritenuto di rendere omogenei i diversi regimi fiscali e contributivi?
Non saprei spiegarmente la ragione, ma mentre mi ponevo il quesito mi è risuonata nella testa un’altra domanda: perché nel corso dell’attività dei governi di centrosinistra nessuno ha mai avvertito l’esigenza di assumere provvedimenti normativi concreti per risolvere quel “conflitto di interessi” del Presidente del Consiglio, che rappresenterebbe il peggiore di tutti i mali della nostra Repubblica?
Non è che magari… i “litigi” - tra PDL e quello che Beppe Grillo chiama Pdmenoelle - sono meno cruenti di quanto appaiano, ed il patto, non scritto, è quello di non pestarsi troppo i piedi vicendevolmente?

venerdì 3 luglio 2009

I CONFLITTI D’INTERESSE DELLE COOP… E DEL COMPAGNO BERSANI

La demenziale rappresentazione del panorama politico italiano, offerta in pasto all’opinione pubblica più pigra e meno consapevole, vede da più di quindici anni la contrapposizione tra il “Re della filibusta” Berlusconi da una parte, impegnato a difendere i propri meschini interessi patrimoniali con “leggi ad personam” e lo strazio di ogni forma di libertà democratica, ed un manipolo di coraggiosi patrioti, animati da nobili interessi sociali, dall’altra.
Il primo, valendosi principalmente della manipolazione della volontà collettiva tramite il possesso esclusivo dei media, avrebbe conseguito un potere personale immenso, mediatico e dunque politico, adoperato in funzione esclusiva del saccheggio delle pubbliche risorse, con la complicità interessata delle categorie degli artigiani, dei professionisti, dei lavoratori autonomi in generale, dipinti come una massa di evasori fiscali e malfattori (si veda l’ultimo discorso del prossimo segretario del PD, Bersani), disposti a tutto pur di rallentare il cammino delle riforme indispensabili per il progresso economico, civile e morale del paese, e per ostacolare una meno iniqua redistribuzione della ricchezza prodotta.
I secondi invece, privi di mezzi ma animati da indomabile spirito altruistico, e che militerebbero principalmente nelle file del Partito democratico, condurrebbero le loro battaglie (sconfitti talvolta solo dalle forze preponderanti del malaffare, anche mafioso), esclusivamente in nome dell’interesse collettivo, a fini di maggiore equità e giustizia sociale.
Per quanto possa apparire sconcertante, una simile semplicistica visione appartiene non solamente a segmenti marginali ed incolti della pubblica opinione italiana, bensì anche a settori della cosiddetta intellighenzia: capita di sentirla riecheggiare in discussioni con insegnanti, pubblici e privati funzionari, magistrati, e persino con docenti universitari.
E’ sufficiente però un modesto sforzo informativo per rendersi conto della falsità innanzitutto di una delle asserzioni che capita più spesso di ascoltare: ovvero quella relativa alla presunta disparità delle forze in campo, secondo la quale la “sinistra” non possiederebbe la tutela di un adeguato sistema di corposi interessi economici, fermamente intenzionato a sostenerla, per il conseguimento di obiettivi propri.
Ho in precedenza avuto modo più volte di richiamare la vergognosa cointeressenza tra l’attuale opposizione e forze finanziarie di gigantesco spessore; in particolare, oltre ad alcuni istituti bancari (si pensi a mero titolo esemplificativo al Monte dei Paschi di Siena, nel quale ricopre la carica di vice presidente quel Gaetano Caltagirone - che ne è anche il secondo azionista privato - genero di Casini, e neo alleato… del “nuovo che avanza”), deve venire in considerazione principalmente il settore della grande distribuzione, in particolare quello delle cosiddette cooperative. Su queste ultime, ed in particolare sull’esistenza di norme di favore nel nostro ordinamento per queste realtà, nonché sulla violazione della disciplina europea che configurano, mi riprometto di soffermarmi più compiutamente in un prossimo post.
Oggi vorrei solo esaminare alcuni numeri.
Tutti conoscono la realtà distributiva di CoopItalia: ma pochi sanno, probabilmente, che questo gigantesco colosso finanziario è il primo gruppo distributivo italiano, con una quota di mercato superiore al 17%, ed un fatturato di oltre 11 miliardi di euro annui (praticamente, una manovra finanziaria).
Coop Italia è presente in 17 regioni italiane su 20, e può realizzare i suoi giganteschi proventi grazie all’ausilio di una realtà distributiva composta da 70 ipermercati, 561 supermercati, 199 discount, 446 altri punti vendita di piccole e medie dimensioni, e… 4 ipermercati in Croazia.
I piani di sviluppo per l’immediato futuro, nel nostro paese, prevedono l’apertura di altri 29 ipermercati e 79 supermercati.
Riesce veramente così difficile comprendere quali effetti di immenso profitto possano aver prodotto su una rete distributiva di queste dimensioni le cosiddette “lenzuolate” dell’ex ministro Bersani, non a caso… prossimo segretario del PD?
I detti provvedimenti, senza pudore alcuno spacciati per “liberalizzazioni” (mentre sono in realtà aiuti di Stato finalizzati alla costituzione di nuovi monopoli, mediante la sistematica alterazione delle regole del mercato, come vedremo meglio nel prossimo post), sarebbero stati varati dal governo di Romano Prodi per “favorire la concorrenza, e determinare effetti benefici per il cittadino”.
Così, non pago degli altri benefit concessi senza vergogna ad altre “aziende di famiglia”, il governo Prodi ha concesso alle Coop non semplicemente la vendita, ma la produzione dei medicinali da banco, regalando loro un nuovo proficuo mercato, ridisegnando la geografia dei produttori nel settore.
Si è poi concessa la distribuzione dei carburanti per auto (e qualunque commento sul punto risulta addirittura superfluo, ove si pensi al beneficio che ciò rappresenta).
Si è consentito (tramite un accordo con Telecom) la creazione di un nuovo operatore telefonico virtuale (Coop Voce), aprendo anche il mercato delle telecomunicazioni, agli amici distributori… nell’interesse comune, si intende.
Non paghi, si sono cambiate le norme che disciplinavano le professioni, e si è offerta la possibilità (immediatamente realizzata) di aprire all’interno degli ipermercati servizi di consulenza legale e matrimoniale, ed addirittura psicologica.
Si sono realizzate delle politiche economiche finalizzate alla realizzazione di vergognose speculazioni private, realizzate nell’interesse dei soggetti più forti dell’imprenditoria della grande distribuzione, alterando significativamente in negativo le possibilità offerte agli altri operatori e commercianti titolari di aziende private di dimensioni minori, impossibilitati a reggere l’attacco della nuova titanica concorrenza.
Altro che liberalizzazioni, operate allo scopo di favorire la concorrenza: questi sono espropri, attuati a favore di nuovi monopolisti, in danno di altri operatori, mediante l’ausilio (come meglio si chiarirà) di previsioni di legge di favore, configuranti veri e propri aiuti di Stato proibiti dalla Comunità europea.
Se questi dati vengono letti in correlazione con altri fatti noti, come ad esempio la revoca dei contratti per l’alta velocità della TAV… ovunque tranne che nei tratti di competenza delle cooperative, piuttosto che gli scandali bancari che hanno visto coinvolti i massimi vertici del PD, che cosa dite, possiamo avanzare l’ipotesi di un gigantesco conflitto di interessi di questa sinistra con il Paese… o siamo stati influenzati dai telegiornali di Emilio Fede?