lunedì 6 luglio 2009

L’insostenibile pesantezza delle Coop

Cosa sono le società cooperative? La definizione è quella di una “società nella quale almeno tre soggetti gestiscono in comune un’impresa, che si prefigge lo scopo di fornire innanzitutto agli stessi soci quei beni e servizi per il conseguimento dei quali la cooperativa è sorta”.
In altre parole, caratterizzante della cooperativa è il cosiddetto “scopo mutualistico”, il quale, insieme ai principi di “solidarietà e democrazia”, ne costituisce l’essenza primaria.
La materia è disciplinata, oltre che da varie disposizioni speciali, dal codice civile, ma senza voler compiere qui una disamina approfondita possiamo dire che gli scopi mutualistici e solidaristici la caratterizzano a differenza degli altri tipi societari, nei quali invece lo scopo è costituito dal “lucro”.
Pare possibile ragionevolmente applicare i detti principi - senza incorrere nel ridicolo - ad enti quali le banche di credito cooperativo (che dovrebbero agire per realizzare eque politiche del credito, discostandosi da logiche di mero guadagno), o alle grandi cooperative che operano nel settore sanitario, o addirittura alle cosiddette cooperative di consumo (che dovrebbero essere mosse dal fine di acquistare e rivendere a prezzi vantaggiosi, per i soci, beni di consumo di qualità), quali ad esempio il gruppo CoopItalia, che come abbiamo visto detiene un fatturato di dieci miliardi di euro annui (una finanziaria…), e gestisce quasi il 20% delle quote di mercato?
Mi pare che la domanda non sia lecita neppure in forma scherzosa.
Ma perché dovremmo essere interessati ad una simile questione? La ragione è semplicissima: perché, allo scopo di tutelare i particolari fini che abbiamo visto sopra, la legge prevede una serie di previsioni fiscali di assoluto favore (quali, senza entrare nei dettagli, la deducibilità del 70% dell’IRES dalla base imponibile, la deducibilità integrale degli utili destinati a riserve obbligatorie, e quella del 70% degli utili destinati a riserve volontarie), in virtù delle quali le cooperative aderenti a CoopItalia versano allo Stato italiano circa la metà dell’IRES versata dagli altri operatori economici.
Ciò non determina solamente un notevolissimo risparmio, quantificabile nella stessa misura del minore introito fiscale: ciò altera le condizioni del mercato, in quanto consente a questi colossali operatori economici di godere di una eccezionale liquidità da immettere sul mercato, con gli intuibili effetti distorsivi della libera concorrenza nei confronti degli altri operatori che si trovano dunque ad operare in condizioni di svantaggio.
In pratica, nel silenzio assordante dei media e della politica, ci troviamo di fronte a soggetti che, avendo perso nel tempo completamente la loro origine cooperativa correttamente intesa (come sopra chiarito), sono posti nella condizione di potersi giovare di enormi aiuti di Stato (vietati dalla Comunità europea), alterando le regole del libero mercato, nel quale gli operatori dovrebbero muoversi in condizione di parità.
I risultati di questo tipo di politica sono evidenti: CoopItalia ha acquistato nel corso degli anni una leadership assoluta (assolutamente artificiale), valendosi di tutele che la proteggono da quei rischi di impresa che valgono solo per gli altri operatori economici (chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, può leggere “Falce e carrello”, il libro di Bernardo Caprotti che ha squarciato almeno parzialmente il velo che nascondeva alla pubblica opinione questa miseranda realtà tutta italiana (
http://www.confronto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1251:un-libro-qbombaq-riapre-il-fronte-coop&catid=65:2-riconquistare-competitivita&Itemid=69).
Negli ultimi mesi, come è noto, abbiamo ancora una volta assistito (non posseggono pudore) alla rappresentazione teatrale della solita banda.. dei fascimpresisti riuniti, che hanno portato l’ennesimo attacco alle pensioni: ma nessuno parla della necessità di armonizzare obblighi fiscali e contributivi per tutti gli operatori economici che svolgono attività similari, realizzando una concorrenza meno iniqua e giusti maggiori introiti per le casse dello Stato.
Io mi sono però posto una domanda: come mai questa vicenda vergognosa non solamente non è all’ordine del giorno, ma è praticamente misconosciuta dalla pubblica opinione?
Eppure, si tratta palesemente di colossali aiuti di Stato ingiustamente elargiti a settori produttivi “in quota sinistra” (non è certo casuale la localizzazione dei centri di potere di questi interessi, la loro origine in prevalenza della Toscana e dell’Emilia Romagna): perché la destra non ha mai posto il problema?
Perché, con una crisi come questa alla quale far fronte, non si è ritenuto di rendere omogenei i diversi regimi fiscali e contributivi?
Non saprei spiegarmente la ragione, ma mentre mi ponevo il quesito mi è risuonata nella testa un’altra domanda: perché nel corso dell’attività dei governi di centrosinistra nessuno ha mai avvertito l’esigenza di assumere provvedimenti normativi concreti per risolvere quel “conflitto di interessi” del Presidente del Consiglio, che rappresenterebbe il peggiore di tutti i mali della nostra Repubblica?
Non è che magari… i “litigi” - tra PDL e quello che Beppe Grillo chiama Pdmenoelle - sono meno cruenti di quanto appaiano, ed il patto, non scritto, è quello di non pestarsi troppo i piedi vicendevolmente?

venerdì 3 luglio 2009

I CONFLITTI D’INTERESSE DELLE COOP… E DEL COMPAGNO BERSANI

La demenziale rappresentazione del panorama politico italiano, offerta in pasto all’opinione pubblica più pigra e meno consapevole, vede da più di quindici anni la contrapposizione tra il “Re della filibusta” Berlusconi da una parte, impegnato a difendere i propri meschini interessi patrimoniali con “leggi ad personam” e lo strazio di ogni forma di libertà democratica, ed un manipolo di coraggiosi patrioti, animati da nobili interessi sociali, dall’altra.
Il primo, valendosi principalmente della manipolazione della volontà collettiva tramite il possesso esclusivo dei media, avrebbe conseguito un potere personale immenso, mediatico e dunque politico, adoperato in funzione esclusiva del saccheggio delle pubbliche risorse, con la complicità interessata delle categorie degli artigiani, dei professionisti, dei lavoratori autonomi in generale, dipinti come una massa di evasori fiscali e malfattori (si veda l’ultimo discorso del prossimo segretario del PD, Bersani), disposti a tutto pur di rallentare il cammino delle riforme indispensabili per il progresso economico, civile e morale del paese, e per ostacolare una meno iniqua redistribuzione della ricchezza prodotta.
I secondi invece, privi di mezzi ma animati da indomabile spirito altruistico, e che militerebbero principalmente nelle file del Partito democratico, condurrebbero le loro battaglie (sconfitti talvolta solo dalle forze preponderanti del malaffare, anche mafioso), esclusivamente in nome dell’interesse collettivo, a fini di maggiore equità e giustizia sociale.
Per quanto possa apparire sconcertante, una simile semplicistica visione appartiene non solamente a segmenti marginali ed incolti della pubblica opinione italiana, bensì anche a settori della cosiddetta intellighenzia: capita di sentirla riecheggiare in discussioni con insegnanti, pubblici e privati funzionari, magistrati, e persino con docenti universitari.
E’ sufficiente però un modesto sforzo informativo per rendersi conto della falsità innanzitutto di una delle asserzioni che capita più spesso di ascoltare: ovvero quella relativa alla presunta disparità delle forze in campo, secondo la quale la “sinistra” non possiederebbe la tutela di un adeguato sistema di corposi interessi economici, fermamente intenzionato a sostenerla, per il conseguimento di obiettivi propri.
Ho in precedenza avuto modo più volte di richiamare la vergognosa cointeressenza tra l’attuale opposizione e forze finanziarie di gigantesco spessore; in particolare, oltre ad alcuni istituti bancari (si pensi a mero titolo esemplificativo al Monte dei Paschi di Siena, nel quale ricopre la carica di vice presidente quel Gaetano Caltagirone - che ne è anche il secondo azionista privato - genero di Casini, e neo alleato… del “nuovo che avanza”), deve venire in considerazione principalmente il settore della grande distribuzione, in particolare quello delle cosiddette cooperative. Su queste ultime, ed in particolare sull’esistenza di norme di favore nel nostro ordinamento per queste realtà, nonché sulla violazione della disciplina europea che configurano, mi riprometto di soffermarmi più compiutamente in un prossimo post.
Oggi vorrei solo esaminare alcuni numeri.
Tutti conoscono la realtà distributiva di CoopItalia: ma pochi sanno, probabilmente, che questo gigantesco colosso finanziario è il primo gruppo distributivo italiano, con una quota di mercato superiore al 17%, ed un fatturato di oltre 11 miliardi di euro annui (praticamente, una manovra finanziaria).
Coop Italia è presente in 17 regioni italiane su 20, e può realizzare i suoi giganteschi proventi grazie all’ausilio di una realtà distributiva composta da 70 ipermercati, 561 supermercati, 199 discount, 446 altri punti vendita di piccole e medie dimensioni, e… 4 ipermercati in Croazia.
I piani di sviluppo per l’immediato futuro, nel nostro paese, prevedono l’apertura di altri 29 ipermercati e 79 supermercati.
Riesce veramente così difficile comprendere quali effetti di immenso profitto possano aver prodotto su una rete distributiva di queste dimensioni le cosiddette “lenzuolate” dell’ex ministro Bersani, non a caso… prossimo segretario del PD?
I detti provvedimenti, senza pudore alcuno spacciati per “liberalizzazioni” (mentre sono in realtà aiuti di Stato finalizzati alla costituzione di nuovi monopoli, mediante la sistematica alterazione delle regole del mercato, come vedremo meglio nel prossimo post), sarebbero stati varati dal governo di Romano Prodi per “favorire la concorrenza, e determinare effetti benefici per il cittadino”.
Così, non pago degli altri benefit concessi senza vergogna ad altre “aziende di famiglia”, il governo Prodi ha concesso alle Coop non semplicemente la vendita, ma la produzione dei medicinali da banco, regalando loro un nuovo proficuo mercato, ridisegnando la geografia dei produttori nel settore.
Si è poi concessa la distribuzione dei carburanti per auto (e qualunque commento sul punto risulta addirittura superfluo, ove si pensi al beneficio che ciò rappresenta).
Si è consentito (tramite un accordo con Telecom) la creazione di un nuovo operatore telefonico virtuale (Coop Voce), aprendo anche il mercato delle telecomunicazioni, agli amici distributori… nell’interesse comune, si intende.
Non paghi, si sono cambiate le norme che disciplinavano le professioni, e si è offerta la possibilità (immediatamente realizzata) di aprire all’interno degli ipermercati servizi di consulenza legale e matrimoniale, ed addirittura psicologica.
Si sono realizzate delle politiche economiche finalizzate alla realizzazione di vergognose speculazioni private, realizzate nell’interesse dei soggetti più forti dell’imprenditoria della grande distribuzione, alterando significativamente in negativo le possibilità offerte agli altri operatori e commercianti titolari di aziende private di dimensioni minori, impossibilitati a reggere l’attacco della nuova titanica concorrenza.
Altro che liberalizzazioni, operate allo scopo di favorire la concorrenza: questi sono espropri, attuati a favore di nuovi monopolisti, in danno di altri operatori, mediante l’ausilio (come meglio si chiarirà) di previsioni di legge di favore, configuranti veri e propri aiuti di Stato proibiti dalla Comunità europea.
Se questi dati vengono letti in correlazione con altri fatti noti, come ad esempio la revoca dei contratti per l’alta velocità della TAV… ovunque tranne che nei tratti di competenza delle cooperative, piuttosto che gli scandali bancari che hanno visto coinvolti i massimi vertici del PD, che cosa dite, possiamo avanzare l’ipotesi di un gigantesco conflitto di interessi di questa sinistra con il Paese… o siamo stati influenzati dai telegiornali di Emilio Fede?

martedì 30 giugno 2009

Vecchie puttane di regime… e Casini nuovi

Nessun cittadino avrà dimenticato come, nel corso della propria brevissima e sciagurata esperienza di malgoverno, Romano Prodi ebbe a nominare Ministro della Giustizia l’on. Clemente Mastella, comunemente a buon diritto ritenuto emblema di certa voltagabbana politica nostrana; un serbatoio di voti deambulante, provento di vecchie e mai cessate pratiche clientelari, in prevalenza localizzate - duole dirlo, ma è la verità - nel nostro profondo sud.
Al novello europarlamentare Mastella, nel periodo in cui ricopriva la carica di Ministro, ebbi a spedire (ovviamente firmata con nome e cognome, e corredata di indirizzo e numero telefonico), una mail presso il recapito ufficiale in dotazione a tutti i deputati, nella quale (unitamente ad una serie di osservazioni critiche sulla politica demenziale posta in essere in ordine a certe tematiche concernenti il funzionamento del Tribunale di Napoli), profetizzavo l’ingloriosa caduta del governo Prodi, avvertendo il deputato che certamente, in caso di difficoltà (puntualmente sopravvenute) i suoi nuovi “compagni di merende” di questa singolare “sinistra” italiana, visti i suoi trascorsi e la… stima popolare della quale godeva, avrebbero assestato al Mastella un poderoso calcio nel culo, mandandolo a farsi benedire da uno di quei curati di campagna, suoi amici.
Il resto… è storia del nostro Belpaese.
Ora, mi capita di leggere (su un allegato al Corriere della sera… e dove sennò?) che l’on.le Mastella mette in guardia il Presidente Berlusconi da un presunto complotto ai danni del governo, ordito dal diabolico (il solito) Massimo D’Alema, con il quale ci si riproporrebbe di scalzare Berlusconi, sostituendolo con Pierferdinando Casini alla guida dell’Esecutivo.
Qualcosa di vero deve esserci: in un post precedente avevo già sottolineato frequentazioni inquietanti tra Montezemolo e Gaetano Caltagirone, il suocero di Casini, che paga al giovane virgulto i conti della politica... e non solo quelli (http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Gaetano_Caltagirone).
Proprio in occasione di un convegno organizzato dal Caltagirone, peraltro, recentemente il Montezemolo aveva rivolto al paese un appello sulle sue parole d’ordine (la mia traduzione… è nota) di “meritocrazia e concorrenza”.
Ma che si tratti di Casini, di Draghi, o di qualunque altro prezzolato professorucolo da strapazzo, e quale sia il contenuto di questo vergognoso ennesimo accordo tra poteri forti per rovesciare il risultato delle libere elezioni, a mio avviso poco conta: mi pare che anche questa volta siano stati stati fatti i conti… senza GLI osti.
Il primo, ovviamente, è Silvio Berlusconi, recentemente ulteriormente rinfrancato dal positivo giudizio delle urne per le consultazioni amministrative, ed abituato, come giustamente rileva Mastella nello stesso articolo, a “difendersi con i carri armati”.
Ma il secondo “oste” è addirittura più temibile del primo: è il popolo italiano.
Gli italiani (il concetto… non pare evidentemente sufficientemente chiaro) non hanno scelto di farsi governare da Berlusconi perché convinti da Emilio Fede, o in quanto vittime di una sorta di innamoramento figlio della pozione magica di una qualche megera di passaggio: gli italiani hanno scelto di farsi governare da Berlusconi perché non vogliono al potere, fortissimamente non vogliono, quella maledetta accozzaglia di fascimpresisti parassiti, accompagnati dal loro pietoso circo di giullari e questuanti, professori universitari ed ex sindacalisti, che non hanno lavorato un sol giorno in vita loro.
Bisogna fare grande attenzione: quando Prodi cercò con demenziale violenza di governare i fenomeni economici italiani contro il Paese e le sue categorie produttive, fu costretto a starsene rinchiuso nelle sedi istituzionali, perché ogni volta che metteva fuori il naso (lui, Padoa Schioppa, Visco e… tutti gli altri) rischiava seriamente di beccarsi non solamente vibrate manifestazioni di dissenso, ma di buscarle di santa ragione.
Un episodio pare più eloquente di qualunque discorso: il tentativo di linciaggio dell’economista Giavazzi ad opera dei tassisti romani; a dimostrazione palese che la gente comprende benissimo i fenomeni politici ed economici che agitano la nazione, le vere dinamiche sottese ad accadimenti apparentemente diversi e distanti.
Gli italiani… gli italiani sono così, sono brava gente, sopportano quasi tutto.
Quando però arriva il momento in cui si cerca di sovvertire la volontà del Popolo, quando compaiono i nuovi fascisti a tentare di privarli del loro diritto di scelta democratica, se gli girano i coglioni, sono anche capaci di appendere a testa in giù su un Piazzale chi li aveva sottovalutati, e di sputare sui loro cadaveri.

lunedì 29 giugno 2009

Fascimpresismo… di ritorno

La ridicolizzazione dell’avversario politico, mi viene detto, è da sempre una delle tecniche adoperate dai sostenitori dei regimi totalitari, per negare il valore delle argomentazioni, e dunque le giuste ragioni, delle opposizioni.
Per la verità non sono del tutto d’accordo: normalmente nei regimi totalitari di negare le possibilità di espressione delle minoranze (e più spesso delle maggioranze) si occupano, a seconda delle esigenze, gli eserciti, la polizia, la magistratura, ed un certo tipo di intellettuali.
Ciò si verifica però di norma quando un’opposizione vi sia, quando cioè la consapevolezza della pericolosità sociale di determinati assetti politici, finanziari, economici e sociali, sia ben stata compresa dalla maggioranza (o da un’illuminata minoranza) del corpo sociale.
In Italia la crescita della consapevolezza riguardo alla pericolosità di certe pericolosissime dinamiche, mi pare sia invece ancora a livelli inquietanti.
Il dibattito politico è interamente assorbito da discussioni concernenti la vita privata dei protagonisti della scena, con possibili sviluppi ancora inimmaginabili, ma certo poco rassicuranti; mentre tra insulti, sceneggiate quotidiane, e discussioni da “lavandaie”, i veri temi della politica sono del tutto oscurati.
Il Paese dovrebbe democraticamente interrogarsi, e proporre soluzioni quanto più possibile condivise, sui temi globali dello sviluppo sostenibile migliore, il che vuol dire temi ambientali, della ricerca, del controllo dello Stato sulla finanza e sull’economia, sui mezzi di informazione, sulle infinite questioni morali (e non solo sui conflitti di interesse… palesi), sui sostegni ai meno autonomi, su una lotta all’economia sommersa che non si basi esclusivamente (come sempre è accaduto nel passato) su ridicole rappresentazioni teatrali dagli effetti concreti nulli, bensì sulla individuazione delle vere significative evasioni, dalla sottoposizione agli obblighi fiscali.
Perché abbiamo un’opposizione che, anziché richiamare ossessivamente le dette questioni, esercitando una potente attività di stimolo sul governo della maggioranza, e pretendendo il riequilibrio solidale della ricchezza prodotta e la sua redistribuzione, si esercita nell’attacco sterile, smodato e scorretto nei confronti del leader più e più volte democraticamente designato dalla maggioranza dei cittadini?
E’ solo questione di incapacità ed inconcludenza, o vi è di più?
Non c’è dubbio che l’opposizione in Italia attraversi un momento drammatico: la scelta demenziale di puntare tutto sulla innaturale convivenza forzata di ex comunisti, presunti new progressisti, e cattolici oltranzisti, ponga il fronte oggi minoritario dell’opposizione in una situazione di estrema difficoltà: ogni qual volta si tratta di operare una scelta di campo (ed il governo di Romano Prodi ne è stato l’esempio) vengono alla luce tutte le più profonde ed inconciliabili differenze, mentre vi è una difficoltà gigantesca persino nella redazione di un programma minimo comune di governo da sottoporre al giudizio dei cittadini, di tal che l’impressione che si ricava è quella di un fronte disomogeneo e caotico, nel quale nessuno è in grado di decidere alcunchè.
L’antiberlusconismo è l’unico collante possibile: ma quando arriva il momento di operare delle scelte, ciò si rivela assolutamente impossibile.
La domanda che tutti si pongono, però è un’altra: l’immenso potere del Presidente del consiglio, costituisce oppure no un ostacolo per lo sviluppo democratico del Paese? Può addirittura costituire l’anticamera di un regime (come sostengono con una puntina di isteria autorevoli commentatori), nel quale gli spazi dell’informazione, delle libertà individuali, vengano ad essere seriamente compromessi?
Tali quesiti ovviamente vengono prima dell’altra grande questione (questa invece ben fondata): può far bene ad una nazione la perenne difficoltà di un ricambio, dal momento che la fondamentale azione di riequilibrio e redistribuzione della ricchezza prodotta appare difficilmente perseguibile da un esponente della grande imprenditoria, che certo dovrebbe avere a cuore le categorie privilegiate ben più di quelle dei meno abbienti, dei più deboli?
La questione è complessa: e non vi è dubbio che un sano ricambio appaia in linea di massima imprescindibile per il dispiegarsi armonico delle dinamiche democratiche di una nazione occidentale moderna.
Il problema però è che, a quanto appare, oggi in Italia si verifica un fenomeno assolutamente singolare, forse unico nel panorama internazionale dei paesi occidentali: la sinistra italiana ha vissuto, e vive, una crisi identitaria drammatica, che l’ha condotta a tradire la propria funzione sociale storicamente determinata (che è quella di un progresso… meno iniquo), per aderire acriticamente alle ragioni del grande capitale nostrano ed internazionale, nella speranza vana di poter trarre sostegno e mezzi per rovesciare “il nemico di sempre”.
Berlusconi è un imprenditore anomalo: da sempre estraneo al giro dei “salotti buoni”, ha costruito con mezzi (qualche volta ritenuti discutibili) un potere personale immenso, in grado di fronteggiare da solo (non sempre nell’interesse comune) le scelte della tradizionale impresa italiana parassitaria ed assistita (il riferimento agli Agnelli, ed al loro lacchè Montezemolo, appare doveroso, in quanto dotato di potente significato emblematico).
Il modo indecentemente aggressivo ed insensato con il quale il governo di Romano Prodi ha favorito i “poteri forti” è sotto gli occhi di tutti: senza una maggioranza in grado di sostenerne l’azione, sono state (sono solo pochi esempi) svendute le uniche tratte ferroviarie produttive ad una società mista Montezemolo-Della Valle, e si è favorita oltre ogni limite di decenza la Fiat, e la costellazione delle imprese collegate (con il suo costituire, ancora e sempre, il simbolo di quella imprenditoria che socializza le perdite e capitalizza – ormai quasi sempre all’estero - i profitti).
Si è tentato di favorire il grande capitale tramite misure folli (si pensi alla previsione demenziale dell’ingresso dei soci di puro capitale negli studi legali; si pensi all’attribuzione alla grande distribuzione della produzione di farmaci, e della distribuzione dei carburanti; si pensi al tentativo di rendere i tassisti dipendenti… di chi e perché non è stato dato sapere).
L’unico soggetto sociale degno di attenzione (servile, attenzione) diviene l’impresa; non quella, ovviamente, dell’artigiano o del professionista (additati, anzi, al pubblico ludibrio come pericolosi evasori, oscuri adepti di caste iniziatiche titolari di immeritati privilegi socialmente improduttivi), bensì l’impresa del grande capitale.
Quel grande capitale che, mosso dall’ideologia unica dell’aumento perenne dei profitti accompagnato dalla diminuzione dei costi, torna oggi alla carica: con una campagna mediatica senza precedenti, alla quale fanno da cassa di risonanza i quotidiani ed i settimanali (Repubblica; L’Espresso) del buon De Benedetti, ed il Corriere della sera (della Fiat, ed altre undici mega imprese nazionali).
Chi di de Benedetti abbia voglia di leggere la biografia (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_De_Benedetti) si stupirà di ritrovarlo coinvolto in praticamente tutte le vicende del malaffare nostrano degli ultimi trent’anni; ma sono probabilmente storie vecchie, errori di… gioventù destinati a non ripetersi, da quando l’ingegnere nel 2005 ha definitivamente trasferito (come molti altri imprenditori nostrani) tutte le proprie sostanze in società interamente o parzialmente costituite all’estero.
Quell’estero… così vicino, dal quale le pubblicazioni di Murdoch, concorrente dalle dimensioni elefantiache globali, continuano ogni giorno ad aggredire senza pudore il piccolo italiano che si è fatto da solo, e che persegue testardamente le proprie politiche di governo, certo non con l’ideologia di un uomo di sinistra, ma senza cedere oscenamente alle pressioni di quei poteri forti, che posseggono nomi e cognomi, per chi possegga la capacità di leggerli.
E di fronte alla cui bestiale aggressività anche prendere tempo… costituisce per il Paese un’ineludibile necessità difensiva.

giovedì 25 giugno 2009

I monopoli autonomi e sovranazionali

Il filosofo Umberto Galimberti, nell’indagare quelle che gli appaiono come le ragioni di un disinteresse sostanziale della nuova generazione verso i temi politici del cambiamento ( http://www.youtube.com/watch?v=zfzFib23u8E&feature=related ), individua in una sorta di indecifrabile evanescenza del “mercato” una delle principali ragioni della difficoltà di individuare concretamente i soggetti responsabili della trasformazione globale che ha condotto alla realizzazione di un nuovo ordine mondiale, nel cui ambito immensi poteri finanziari si sono rivelati in grado di accentrare un potere senza precedenti, addirittura maggiore di quello da sempre detenuto dagli Stati nazionali.
Tutti abbiamo compreso, in altre parole, come il fenomeno della cosiddetta globalizzazione sia governato da nuovi soggetti finanziari, i cui interessi si sono saldati (e si stanno ancora, costantemente, in qualche modo continuando a saldare), che ha imposto un modello di sviluppo nel quale si sarebbe affermata quale nuova ideologia unica quella dell’aumento dei profitti e diminuzione dei costi (cui si accompagna una nuova e più tremenda forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo). Nei post precedenti ho illustrato ampiamente il mio pensiero sul punto, sinteticamente richiamando anche le interpretazioni di autorevoli filosofi ed osservatori.
Ma è vero oppure no che gli immensi interessi che governano i nuovi centri del potere globale siano privi di volto? E’ corretto affermare che sia tanto difficile individuare i detentori del nuovo potere assoluto, allo scopo di indagare nuove possibilità di resistenza culturale e contrapposizione ideale?
Chi c’è dietro quelle “corporazioni transnazionali” che “distribuiscono direttamente la forza lavoro tra i differenti mercati, allocano funzionalmente le risorse, organizzano gerarchicamente i settori della produzione mondiale”? (da IMPERO, di Hardt/Negri, ediz. BUR, 2007)
A chi fa capo quel “complesso apparato che seleziona gli investimenti e che dirige le manovre finanziarie e monetarie e determina la nuova geografia del mercato mondiale, e di fatto la nuova strutturazione biopolitica del mondo”?
Possibile che realmente non sia quantomeno possibile individuare i fenomeni economici che costituiscono l’espressione manifesta ed immediata delle nuove realtà finanziarie globali?
Io non ci credo. La domanda è evidentemente retorica. Gli esempi appartengono al nostro quotidiano. Si pensi a titolo esemplificativo al cosiddetto fenomeno della “grande distribuzione”.
Da tempo si è ormai affermato in ambito economico, e non solo nei ricchi paesi occidentali bensì in tutto il pianeta, il fenomeno della progressiva crescita di soggetti non più solo in grado di operare la distribuzione di beni e servizi, ma di produrli direttamente; questi giganteschi centri di interesse appaiono oggi in grado di mirare alla creazione di veri e propri monopoli produttivi e distributivi, progressivamente realizzando (forti dell’iniziale condizione di supremazia) il trasferimento di ogni e qualsivoglia forma di produzione di ricchezza, attirandola a sé, come un immenso buco nero.
La grande distribuzione si manifesta sul mercato come un soggetto in grado di annientare qualunque forma di concorrenza: avendo infatti la possibilità di esser presente in praticamente tutti gli ambiti commerciali, può quasi sempre praticare iniziali condizioni economiche particolarmente favorevoli all’utilizzatore finale, accaparrandosi in tal modo la clientela, e costringendo alla chiusura gli altri operatori strozzati dal lievitare dei costi, potendo ciò realizzare sia grazie alla possibilità di lavorare inizialmente in perdita in certi settori (avendone altri assai produttivi), nonché ricattando successivamente i fornitori, imponendo prezzi di acquisto delle merci bassissimi (è noto come ai produttori di latte, per fare un esempio, vengano imposti prezzi risibili, attuando poi sullo stesso bene ricarichi – e conseguentemente guadagni – altissimi).
Ora, se leggiamo i dati (che certo sono parziali) relativi ai gruppi più importanti, rimaniamo sconcertati: la Carrefour (http://aziende.monster.it/carreit/ ) opera con numeri degni di uno Stato nazionale, ed altrettanto può dirsi per Auchan (http://www.auchan.it/ChiSiamo/AuchanNelMondo/INumeri/Pagine/INumeri.aspx ), nonché per altre realtà di dimensioni minori, spesso destinate a venire presto o tardi fagocitate, in questo mostruoso processo di crescita all’infinito, da realtà più grandi (in ambito nazionale, si pensi per esemplificare alle Coop, alla Conad, alla Esselunga).
E’ noto a tutti come negli ultimi anni nel nostro paese siano state aperti centinaia di nuovi punti vendita di queste immense realtà globali.
E dovrebbe essere noto a tutti (ma molti non lo hanno ancora compreso) come le politiche economiche dei governi che si sono succeduti (quello di Berlusconi in verità un po’ meno) abbiano puntato a favorire il processo di crescita di queste realtà nel nostro panorama nazionale; non si comprende se per miopia, o per attuare un preciso e perverso piano finanziario.
La breve esperienza del governo di Romano Prodi è sul punto illuminante: la violenza cieca con la quale si è tentato (spesso con esiti favorevoli) di far entrare la grande distribuzione in realtà economiche tradizionalmente estranee agli ambiti suoi tradizionali, ha avuto dell’incredibile: le cosiddette “lenzuolate” del ministro Bersani, al di là degli aspetti più eclatanti e paradossali (si pensi all’apertura di centri di consulenza legale, o addirittura… psicologica, all’interno di centri commerciali) si è accompagnata all’attribuzione di nuove immense potenzialità produttive quali, ad esempio, la possibilità di accedere alla produzione diretta di specialità farmaceutiche, con propri nuovi marchi, con gli immensi benefici connessi.
Il tutto contestualmente ad una martellante campagna mediatica condotta sui fronti più svariati, con i quali si è tentato di spacciare il riequilibrio di assetti economici tradizionali, in favore dei nuovi monopolisti, per misure in grado di favorire la concorrenza ed i consumatori (che hanno invece ricevuto in cambio benefici assai modesti, con ogni probabilità solo temporanei).
Come è possibile che fenomeni di tale rilevanza possano realizzarsi nella sostanziale indifferenza ed incomprensione dei cittadini? Come si può pensare che il mutamento profondo degli equilibri finanziari, economici, produttivi e distributivi del mercato non sia stato accompagnato da discussioni accese, da un dibattito consapevole, da parte del corpo sociale? Come possono gigantesche realtà produttive come quelle alle quali si è fatto cenno realizzare modificazioni tanto profonde del mercato, impoverendo interi ambiti regionali, fornendo in cambio pochi (e quasi sempre precari) posti di lavoro, senza che i partiti, i sindacati, i media, la pubblica opinione si siano lungamente interrogati sull’opportunità sociale di simili modificazioni, spesso giustificate con motivazioni vaghe ed insignificanti (“il mondo cambia…. la Cina, ah, la Cina!”).
Sono interrogativi non solamente privi di meditate risposte… sono interrogativi che non sono mai stati posti.
Perché?

lunedì 22 giugno 2009

L'imprescindibile necessità della consapevolezza

Interpretare la contemporaneità, per chi voglia provare a comprendere il proprio tempo, non è mai agevole; e lo diviene ancor meno quando siano in atto mutamenti epocali, tutt’altro che definiti, relativi a significative ristrutturazioni di fenomeni quali il mercato, la produzione, la distribuzione ed in generale il nuovo assetto dei rapporti tra le classi sociali.
Accade nondimeno di imbattersi in analisi connotate da potente lucidità argomentativa, in grado di riordinare e conferire senso ai flussi caotici delle informazioni che riceviamo, descrivendo quadri d’insieme logicamente coerenti (per quanto possibile) e rivelatori.
I fenomeni (certo eterogenei) relativi alla diffusa popolarità di personaggi quali il filosofo Garimberti, piuttosto che il “barricadero” padre Zanotelli, o “l’ignorante” divulgatore di notizie Grillo, forniscono la prova che una certa analisi appare connotata da caratteri ormai di senso comune, e di significato non menzognero.
Pur nella diversità delle singole posizioni, dei ruoli sociali rivestiti, tutti questi nuovi “guru” fanno affermazioni comuni riguardo a verità invero indiscutibili, quali la perdita del potere assoluto degli stati nazionali, a vantaggio dell’affermazione del nuovo immenso potere, universalmente diffuso e pervasivo, del “capitale globale”, che si sarebbe saldato in una sorta di struttura unica, e si sarebbe dotato di mezzi operativi nuovi, in grado di dettare le proprie regole al mondo intero.
L’ideologo, mi pare, più lucido, nel descrivere questa realtà, è il filosofo Toni Negri, il vecchio “cattivo maestro” degli anni di piombo italiani, riverito ed osannato docente di filosofia in Francia, autore di due testi fondamentali (“Impero” e “Moltitudine”) nei quali analizza con taglio filosofico i nuovi assetti del potere finanziario internazionale, la nuova struttura dei rapporti di classe nel terzo millennio, esprimendo una certa fiducia nella possibilità di profondi cambiamenti, in virtù delle nuove possibili forme di “resistenza”, date principalmente dall’utilizzo consapevole e finalizzato delle nuove tecnologie comunicative globali.
Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ha raggiunto aberranti livelli di novità assoluta, riducendo le persone a degradati ingranaggi di un meccanismo unico, il quale per funzionare non necessita neppure più della forza lavoro, che gli era indispensabile fino a pochi anni orsono, con la conseguente riduzione dell’Uomo a mero consumatore, privato di ogni e qualsivoglia dignità.
Non è possibile ovviamente, per chi voglia (e mi pare consigliabile) approfondire il discorso, prescindere dall’attenta lettura dei testi indicati, perché il discorso è complesso e merita (impone) la riflessione meditata che solo la lettura può dare. Tuttavia, pare di potersi affermare che le possibilità di resistenza che si aprono posseggano un carattere nuovo, dalle potenzialità infinite e beneauguranti, dal momento che poi, a ben riflettere, il nuovo capitale globale è un soggetto abbastanza stupido, che si caratterizza per l’ideologia unica del… profitto a quindici giorni e della riduzione dei costi.
La pericolosità di quest’ultimo punto appare palese a chi si interroghi con cognizione di causa sul significato reale nel nostro Paese del tentativo di affermazione di concetti di estrema pericolosità, quali quelli di meritocrazia e concorrenza (nella singolare accezione che viene fornita dai nuovi… “buoni maestri”), nonché nell’attacco - da utimo sferrato con inaudita ed impudica violenza - a forme di tutela basilare dei diritti elementari dei lavoratori (si pensi ad un livello minimo di dignitosa retribuzione; alla stabilità della posizione lavorativa; a diritti quali il trattamento di fine rapporto, ed ai diritti pensionistici), che appaiono a rischio, e che ci fanno ben comprendere quanto sia potente ed insidioso quel Big government, che è il nostro Moloch da abbattere.

venerdì 5 giugno 2009

LA PARABOLA DEL CAMIONISTA

Ieri sera la trasmissione Annozero di Michele Santoro ha messo in onda un reportage di prim’ordine (sembrava della Gabanelli) avente ad oggetto il tema del trasporto su gomma in Italia, e quello, inscindibilmente connesso, della sicurezza sulle strade.
Molte cose le sapevo, credo un po’ come tutti: l’eccessivo ricorso al trasporto su gomma, il generale mancato rispetto delle normative in materia di sicurezza, le conseguenze prodotte in materia ambientale ed i costi sopportati dalla collettività in relazione all’alto numero di incidenti, ed alla ormai abituale conseguente ecatombe di morti ed invalidi civili.
Altre cose invece, lo confesso, mi erano del tutto ignote: tra le quali mi pare doveroso annoverare lo stato di “neo-schiavismo” nel quale versa tutta intera la nutrita categoria professionale degli autotrasportatori.
I quali, veniva sottolineato, non si sottopongono ad orari di guida massacranti (per tollerare i quali ricorrono sovente a sostanze stupefacenti, come a farmaci eccitanti) mossi dal desiderio di lavorare di più, ed incrementare così i lauti guadagni. Ma, essendo divenuti ormai una categoria di DIPENDENTI assolutamente sottopagati e facilmente sostituibili, sotto il perenne schiaffo della IMPRESA (qualunque impresa debba effettuare un trasporto: ma in misura molto consistente “grande impresa degli ipermercati sovrani”), rischiano la pelle ogni giorno (e la fanno rischiare a noi) solo per garantirsi la sussistenza quotidiana.
Si parlava di un guadagno netto di circa 2.500 euro mensili: beh, per guidare sedici ore al giorno (ed anche di più, come emergeva dal servizio) non sono tanti.
Il reportage evidenziava altresì un curioso fenomeno: quello legato al rispetto assoluto, pieno ed inderogabile, da parte degli stessi autotrasportatori italiani (rectius: delle imprese committenti), delle assai più restrittive norme sulla circolazione vigenti sul territorio francese.
Già: passata la linea di confine, si rispettano i limiti di velocità, quelli alla circolazione, gli orari massimi consentiti alla guida, e tutto quanto preveda la severa normativa d’oltralpe.
Chi impartisce ai guidatori le direttive per il viaggio, non si azzarda a comandare di non preoccuparsi di nulla, se non di consegnare il carico in orario: in Francia, le leggi si rispettano.

Mi pare che alcune semplici considerazioni possano e debbano venire formulate.

1) Le violazioni commesse dagli autisti vengono agli stessi imposte dall’impresa (per la quale la vita delle persone vale zero rispetto alla merce trasportata) in virtù del fatto che vi è assoluta convenienza alla violazione; fino al punto che, divenendo il comportamento generalizzato, chi volesse seguire le regole del codice della strada, non potrebbe più farlo, perché sarebbe penalizzato al punto da venire collocato fuori mercato: con amaro senso dell’ironia, un trasportatore siciliano, costretto a guidare più di quindici ore al giorno per rispettare gli orari (pena il licenziamento) osservava che se il camion rimane distrutto in un incidente, la merce ed il mezzo sono assicurati, mentre se non si arriva in tempo… il trasportatore deve pagare una penale di importo pari al valore dei beni trasportati; non è affatto vero, come sosteneva il titolare di un enorme parco mezzi, che il rispetto delle norme di sicurezza comporterebbe il raddoppio del costo del trasporto: ciò non accade in Francia, e la differenza che viene lucrata in Italia aumenta solo il margine di profitto dell’impresa, scaricando i costi sullo Stato, per quanto attiene all’inquinamento ed all’inevitabile crollo delle condizioni di sicurezza, con i costi conseguenti;


2) Lo Stato italiano mostra di non essere in alcun modo in condizione di influire su tale situazione disastrosa: creando alternative efficienti al trasporto su gomma, predisponendo normative serie e controlli efficaci del rispetto delle stesse; la prevaricazione violenta e palese degli interessi privati su quello pubblico, con la massimizzazione del profitto del privato, e l’accollamento dei costi al pubblico, è totale;

3) I lavoratori italiani (non certo solo gli autotrasportatori) sono ormai ridotti in una condizione insostenibile di sfruttamento immorale ed insensato, in nome dell’obiettivo unico della massimizzazione del profitto d’impresa che, come è sotto gli occhi di tutti, è sempre più “grande” impresa; i sindacati non posseggono alcun reale potere di contrapposizione, o di contrattazione, per il miglioramento delle condizioni lavorative e salariali, e non si comprende bene quale sia la loro utilità, se non vengono profondamente modificati dall’interno.

Quella del trasporto merci in Italia è una vera “parabola” che contiene in sé la spiegazione di tutti i mali del sistema Paese; ma che, a ben vedere, offre anche notevoli spunti di riflessione su quello che si dovrebbe iniziare a pensare di fare, per cambiare le cose.

martedì 2 giugno 2009

LA GRANDE PUTTANA DEL NUOVO FASCINDUSTRIALISMO

Mi capita con inquietante frequenza di riscontrare l’ignoranza grassa di amici e conoscenti circa i reali assetti di interesse che muovono le politiche editoriali di quei mass media vicini al cosiddetto “popolo della sinistra”. L’odio stupido, cieco e violento nei confronti della “ossessione Berlusconi” del quale si alimenta il dibattito politico, viene dolosamente alimentato da uno scontro tra interessi enormi dei quali l’imbecille che si dichiara oggi “fiero di essere di sinistra, ed elettore del PD” non possiede alcuna cognizione, in virtù di una spaventosa pigrizia intellettuale, cui si accompagna la disinformazione di quotidiani, gruppi di interesse e “nuovi teorici della globalizzazione” al soldo dei veri “grandi fratelli”.
E’ doloroso riscontrare come venga ritenuto un quotidiano “moderato” il Corriere della Sera, del quale risultano attualmente proprietarie ben undici IMPRESE, equamente suddivise tra imprese industriali, bancarie ed assicurative, come ancora sappiamo, e come sapremo sempre meno, essendo da ultimo diventato difficile comprendere chi siano i veri proprietari di un giornale, in virtù di una nuova normativa recentissima che consente la gestione dei quotidiani da parte di “società fiduciarie”, senza alcun obbligo di render noti i nomi degli azionisti.
Tuttavia, si accennava, nel caso del Corriere, sappiamo chi sono gli azionisti: uno dei maggiori è la Fiat, e dunque quel coacervo di interessi al quale fa capo “la grande puttana del nuovo fascindustrialismo”, ovvero il dott. Luca Cordero di Montezemolo. Questi, con il suo compare Della Valle (al quale il governo Prodi appena insediato si premurò di scontare una delle numerose “cambiali”… cedendo ad una società mista Montezemolo-Della Valle le uniche tratte produttive delle Ferrovie dello Stato), si segnala per la partecipazione in una quantità spaventosa di attività imprenditoriali, che rendono evidente il reale potere acquisito nell’ambito del panorama industriale italiano.
Mentre però Della Valle (con la sua TOD’S) rappresenta in qualche modo anche realtà imprenditoriali medio-grandi realmente produttive (quali la Barilla, La Ferrero, la Merloni e numerose altre), Montezemolo è il residuato di quei “salotti industriali” rappresentanti da sempre immorali monopoli foraggiati dallo Stato, incapaci di creare vera ricchezza sociale, in quanto unicamente interessati ai dividendi degli azionisti.
Il “popolo della sinistra” trae poi le proprie informazioni (ultimamente… di solo Gossip), e forma i propri convincimenti in materia economica anche (e principalmente) dal quotidiano La Repubblica e dal settimanale L’Espresso, entrambi di proprietà di Carlo De Benedetti.
Berlusconi è un malfattore; De Benedetti è invece una persona perbene.
Già amministratore delegato della Fiat (sempre lei….) l’ingegnere De Benedetti acquista la Olivetti, alla guida della quale paga circa DIECI MILIARDI di tangenti, come ammetterà senza vergogna alcuna dinanzi ai magistrati del pool di Milano, in piane Tangentopoli, nell’anno 1993.
Un corruttore professionale, un delinquente comune, che era stato presentato quale azionista di maggioranza della SME, nell’anno 1985, per conto del gruppi IRI, da ROMANO PRODI (e la SME significava allora Motta, Alemagna, Bertolli, Autogrill… e la catena dei supermercati G.S., quella proto-grande distribuzione dai cui immensi profitti ha tratto linfa il sistema del fascindustrialismo globale, per divenire quello che è oggi).
De Benedetti era un “imprenditore” molto attivo: ed infatti, all’inizio degli anni ’80 era entrato a far parte del Banco Ambrosiano (all’epoca in cui il Presidente era Calvi), ma per soli due mesi, cedendo poi immediatamente la propria quota societaria CON UNA PLUSVALENZA DI QUARANTA MILIARDI, il che gli costò in primo grado una condanna per bancarotta fraudolenta ad anni otto e mesi sei di reclusione.
L’astuto imprenditore poi (siamo alla storia recente) converte tutte le proprie sostanze in interessi facenti capo ad un gruppo di nuove multinazionali (chi fosse interessato trova l’elenco facilmente in Internet), insieme ad un gruppo di amici dai cognomi altisonanti, tra i quali spiccano i Ferrero, i Marzotto, i Branca, i Baggi Susini, i Burani di Milano…..

Il “popolo della sinistra”, anestetizzato dalla mancanza di informazione, reso cieco da un odio viscerale ed insensato nei confronti del “grande nemico”, non si pone domande semplici del tipo “Ma stò giornale di chi è? Ed il proprietario…. chi è? E le ricette in materia economica che propongono stì cazzo di Galdo, Ichino, Spaventa, Savona… perché le propongono?”.
Il “popolo della sinistra” crede ciecamente in proposte quali quella da ultimo avanzata dai nuovi economisti prezzolati di “riforma strutturale del sistema delle pensioni”, immediatamente rispedita al mittente dal Governo Berlusconi, in alcun modo interessato a fare cassa (come efficacemente chiarito) per “accompagnare l’uscita dal lavoro dei lavoratori che Fiat dovrà licenziare” (vedi post precedenti), come riportato da Il Mattino di Gaetano Caltagirone, grande sponsor delle iniziative tese a favorire MERITOCRAZIA e CONCORRENZA (la cui mia personale traduzione ho fornito nei commenti precedenti), auspicate dal Cordero di Montezemolo.
Il “popolo della sinistra” si è ridotto ad una massa belante di tristi figuri decerebrati (ma parecchio incazzati), disposti addirittura a credere che da organi di “informazione” come quelli di cui abbiamo parlato, possa venire fuori un’informazione libera, morale e progressista.

Buon Gesù… conserva in buona salute il nostro Presidente del Consiglio, e le sue politiche economiche prudenti e conservatrici, perché altrimenti questi “estremisti di sinistra” dei salotti buoni del fascindustrialismo globale e del malaffare unico, che della sinistra italiana hanno solamente acquistato a buon mercato la “ragione sociale”, se dovessero ritornare… non ci lascerebbero neppure di che sfamare i nostri bambini.

giovedì 28 maggio 2009

FASCINDUSTRIALISTI: MERITOCRAZIA E CONCORRENZA… A VOI!

Il portavoce unico del nuovo fascindustrialismo italiano, Luca Cordero di Montezemolo, dopo un lungo ed un po’ forzato periodo… di riflessione, conseguente alla caduta del governo Prodi, sta nuovamente rilasciando in questi giorni dichiarazioni a tutto campo per indicare al Paese la strada maestra del futuro della Nazione, forte della propria gloriosa esperienza imprenditoriale, in prevalenza svolta nel ruolo di lacchè della razza malata degli Agnelli.
In data di ieri il Presidente Montezemolo è intervenuto ad un incontro (organizzato da Gaetano Caltagirone) ed ha ripetuto, a beneficio di tutti, le due parole che dovranno caratterizzare il futuro sviluppo italiano… senza se, e senza ma( http://sfoglia.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20090528&ediz=NAZIONALE&npag=7&file=obj_147.xml&type=STANDARD ), ovvero MERITOCRAZIA e CONCORRENZA.
Per i profani della materia, si impone una traduzione, la quale però va necessariamente preceduta dal richiamo all’attività instancabile che, all’unisono, pare essere stata ripresa, proprio in questi giorni, anche dal gruppo di quei noti economisti teorici del nuovo fascindustrialismo.
Come osservato nel post precedente, spicca come sempre, e merita il podio, l’attività del prof. Ichino, il quale ha sferrato un attacco contro il vecchio ed ormai inadeguato Statuto dei lavoratori; ma si difende anche il buon Antonio Galdo, che, in un articolo pubblicato in prima pagina su “Il Mattino” di oggi, avente ad oggetto la vicenda FIAT (http://sfoglia.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20090528&ediz=NAZIONALE&npag=10&file=obj_175.xml&type=STANDARD ), ed intitolato significativamente “Il ruolo dello Stato”, scrive tra l’altro (ed è la prima volta che lo si ammette con questa chiarezza) di come la Fiat “abbisogni come il pane dei generosi finanziamenti pubblici americani e tedeschi”, per poi passare a preannunciare i consistenti tagli all’occupazione (in Italia, ovviamente) che si renderanno necessari, e che saranno pagati un po’ dai lavoratori (Galdo ipotizza “nuove forme di mobilità”) ed un po’ dallo Stato.
Il quale Stato (cioè noi) allo scopo di garantire la cacciata dal mondo del lavoro di tante persone, in ossequio ai piani di Marchionne & Company, dovrà addirittura provvedere “ad una riforma a 360° dello Stato sociale”. E qualora non fosse chiaro il concetto, il bravo Galdo conclude con queste testuali parole: “Per capirci: meno pensioni, più risorse per accompagnare i lavoratori in mobilità”.
Ecco chiarita l’idea di MERITOCRAZIA di Montezemolo: consentire al nuovo fascindustralismo di non assicurare alla forza lavoro nemmeno quel minimo garantito a tutti i lavoratori dalla contrattazione nazionale, decentrando a livello locale (ed indebolendo) la contrattazione, e di poi arrivando addirittura a subordinare la “concessione” del minimo vitale ai “nuovi precari” solo in presenza di sempre più massicci aumenti della produttività, in misura volta a volta fissata dai rappresentanti della nuova mafia economica globale.
Il Presidente inoltre chiarisce come il progetto non possa prescindere dalla realizzazione di una nuova forma di CONCORRENZA: e qui la traduzione è meno ostica, basti pensare ai provvedimenti posti in essere dal ministro Bersani per favorirla, nei pochi mesi che hanno preceduto la cacciata degli esecutori materiali delle direttive impartite dal nuovo parassitismo nostrano.
Concorrenza va tradotto come: “Spostamento di quote della ricchezza nazionale dai lavoratori autonomi, che la producono, alla grande distribuzione (leggi Coop, Auchan, Carrefour… che pari sono). A tutto campo: dalle farmacie negli ipermercati, agli studi legali e degli psicologi negli stessi punti vendita, fino al massacro dei poveri tassisti che, scriveva uno degli economisti del nuovo corso della immoralità globale: “Non vogliono rassegnarsi a diventare dipendenti”.
Già. Ma… dipendenti, di chi?
Non ci è dato comprendere come mai l’ineffabile Presidente Luca Cordero di…, sia di nuovo all’attacco; egli, che per conto dei suoi mandanti ha acquistato a prezzo di saldo questa cosiddetta sinistra italiana, in virtù del fatto che, grazie unicamente al potere personale del Presidente Berlusconi… la destra non era in vendita.
Certo è che attacchi di questa virulenza, attuati secondo la ormai ben chiara “strategia concentrica” del martellamento contemporaneo di economisti, giuristi, fascindustrialisti e giornalisti prezzolati, non avevamo modo di registrarli da diversi mesi.
Non è un buon segnale.
Comprenderanno, i lavoratori italiani, e da oggi anche i pensionati, che i loro problemi non dipendono dalle mutandine di Noemi… ma la vera questione nazionale è, piuttosto… dove stiano tentando di infilargli, quello che porta Montezemolo… nei suoi boxer di seta.

mercoledì 27 maggio 2009

L’AGENDA DEL FASCINDUSTRIALISMO ROSSO

La tragedia di ieri dei tre operai morti sul lavoro in Sardegna all’interno della raffineria Saras, offre un tragico e doloroso spunto per formulare ulteriori amare riflessioni sulle politiche del lavoro realizzate nel corso degli ultimi anni nel nostro Paese, con la “concertazione” delle forze della cosiddetta sinistra, nonché per cercare di mettere a fuoco quelli che saranno i “prossimi obiettivi”.
Chi volesse orientarsi per cercare di comprendere meglio quelle che saranno le strategie adottate, non dovrebbe prescindere dalla lettura del maggiore quotidiano italiano, e cioè quel “Corriere della Sera”, di proprietà della FIAT ed altri autorevoli esponenti della Banda Bassotti, che da tempo è divenuto il “salotto” della cosiddetta sinistra italiana; il luogo dove, spesso con anticipo, vengono analiticamente sviscerate le politiche economiche future.
I lavoratori italiani, come è noto, sono titolari del poco invidiabile primato del possesso delle buste paga più miserabili dell’intero mondo occidentale (i dati OCSE sono recentissimi ed incontestati).
Innanzi al dispiegarsi del drammatico quotidiano rosario delle morti bianche, ed al dato statistico ormai noto del trattamento retributivo di sapore neoschiavista riservato ai lavoratori italiani, ci si attenderebbe quantomeno un formale inasprimento dell’opposizione sociale, ed un arretramento (almeno simbolico e parziale) degli interessi innominabili della grande impresa e dei grandi gruppi finanziari internazionali che la sostengono.
Nulla di tutto questo.
Si apprende invece, dal Corriere in edicola il giorno 22 maggio 2009 di un “asse inedito tra CISL e imprese”, con il proposito (evidentemente, questi sono i temi importanti… per i lavoratori) di mettere mano “alle pensioni, all’università, alla lotta alla burocrazia… ALLO STATUTO DEI LAVORATORI”( http://archiviostorico.corriere.it/2009/maggio/22/apre_fase_due_delle_riforme_co_9_090522023.shtml ). Gli ineffabili articolisti si spingono sino al punto di inviare minacce neppur troppo velate all’unico sindacato che ancora mostrerebbe timidi segnali di… indecisione.
Nello stesso giorno, in un altro articolo pubblicato sullo stesso giornale ( http://archiviostorico.corriere.it/2009/maggio/22/Totem_sindacali_danze_guerra_contratto_co_9_090522093.shtml ) Luigi Covatta si augura, per il bene del Paese, attaccando ferocemente sin dal titolo i “Totem sindacali”, che nessuno si permetta di mettere i bastoni tra le ruote al progetto del suo amico Pietro Ichino, autore di una proposta illuminata per la cancellazione dell’art. 18 dello stesso Statuto dei lavoratori (... arieccolo: la causa di tutte le disgrazie del Paese).
Per i meno informati, trattasi di quello stesso Ichino, arguto teorico ed economista del nuovo fascindustrialismo rosso, collega di Biagi e D’Antona, sotto scorta da diversi anni perché (chissà mai.. perché) primo sulla lista delle nuove Brigate Rosse.
E’ noto a molti (ma non a tutti: parecchi elettori della sinistra sono troppo impegnati ad annusare le mutandine della… signorina Noemi da Casoria) come lo sviluppo dei nuovi strumenti di contrattazione del lavoro abbia indebolito nel corso degli ultimi anni le possibilità di organizzazione e resistenza dei lavoratori: quando vieni reso precario, con contratto a termine, dipendente di micro “società esterna” con il timore costante di venir licenziato, la voglia di richiedere maggiori misure di sicurezza… ti viene un po’ meno, perché è noto che i bambini devono pur mangiare.
Appare dunque adesso chiaro quali saranno i prossimi obiettivi del nuovo fascindustralismo.
La sinistra italiana (i dirigenti attuali) pare mostrino qualche difficoltà ad individuare queste questioni come “ordini del giorno”, e preferiscono interessarsi della crisi matrimoniale del premier: chissà se è lecito individuare una relazione con la circostanza che è la “Banda Bassotti”, in fin dei conti, a pagare gli affitti delle sedi di partito, le spese per la pubblicazione dei giornali (che nessuno legge), gli affitti delle case popolari nelle quali abitano (e che prima o dopo avranno pure l’occasione di acquistare per un boccon di pane.. certe fortune non è mica giusto vengano riservate solo al compagno Veltroni!).
La responsabilità, ovviamente, come sempre… sarà di Berlusconi.
Mi sembra di vederlo: mentre, sorridente, si gode il… book della velina di turno, e pensa alle prossime “lotte per il lavoro” del “compagno Franceschini”.
Popolo della “sinistra”… dove troverai il coraggio di autoassolverti?

martedì 26 maggio 2009

LA MUTANDA DI NOEMI

Appena una decina di giorni fa gli italiani hanno appreso (dati OCSE) che le loro retribuzioni sono tra le più basse in assoluto tra quelle dei Paesi occidentali. I dati sono realmente stupefacenti, ed impietosi: volendo limitare il paragone all’ambito europeo (ma le retribuzioni sono comunque enormemente inferiori rispetto a paesi quali Stati Uniti e Giappone), un lavoratore italiano porta a casa una busta paga inferiore del 44% rispetto a quella di un inglese, del 28% rispetto a quella di un tedesco, del 18% rispetto a quella di un francese.
Ma ciò che lascia veramente sgomenti, è la classifica degli unici paesi “europei” con retribuzioni inferiori a quelle italiane, e cioè: Portogallo, Repubblica Ceca, Polonia e Repubblica Slovacca, ovvero, se si esclude il Portogallo da sempre in difficoltà per note ragioni “strutturali”, dietro all’Italia si classificherebbero solamente alcuni paesi del cosiddetto ex “blocco sovietico”.
Ciò che non è stato ricordato, inoltre, da chi ha diffuso i sondaggi, è che una situazione siffatta si è determinata nel giro di soli trenta anni circa.
Nel 1975 infatti, a quanto risulta, le retribuzioni italiane erano in assoluto tra le più alte nell’ambito dei paesi europei. Come può essere accaduto un simile disastro sociale?
In un paese normale il dibattito politico, dopo la diffusione di questi dati (e per la verità anche prima, dal momento che agli “addetti ai lavori” dovevano essere ben noti) avrebbe dovuto essere interamente occupato dall’analisi delle motivazioni economiche, sociali, culturali, in grado di determinare un siffatto poco lusinghiero primato.
Ebbene, non vi è chi non veda invece come (addirittura a pochi giorni di distanza dalle importanti imminenti consultazioni elettorali provinciali!), nessuno parli di questi argomenti, che pure non sarebbe forse irragionevole ritenere potenzialmente in grado di catturare l’attenzione degli italiani.
Stupisce, ancora una volta, il dover impietosamente constatare come il “popolo della sinistra” segua belante la discussione concernente l’ordine del giorno fissato dalla propria dirigenza: un ordine del giorno che si occupa di un solo punto, e cioè di determinare le presunte circostanze di tempo e luogo nelle quali la “signorina Noemi” si sarebbe liberata dei propri slip, nonchè degli effetti che ciò avrebbe determinato sui nervi a pezzi della (ormai ex) consorte del premier.
Certo commetterebbe un grave errore di prospettiva chi volesse domandarsi chi sono coloro che oggi possiedono la proprietà dei mezzi di comunicazione che sostengono “la sinistra” (tipo il Corriere della Sera e Repubblica), in quanto di sicuro alcuna influenza può rivestire il dato che si tratta dei maggiori gruppi economici ed imprenditoriali del Paese. Gli stessi rimasti, peraltro, a foraggiare il carrozzone obsoleto delle vecchie strutture di partito (o quel che tristemente ne rimane).
Come è strana questa sinistra italiana, tutta… acquistata in blocco, a prezzo di saldo, dagli Agnelli e dai Montezemolo, dai Colaninno e dai Tronchetti Provera.
Come è strana la coincidenza con il sostanziale progressivo abbandono di quella che era una volta la “lotta di classe”, che nel riequilibrare i rapporti di forza sociali, attraverso una meno iniqua ripartizione della ricchezza prodotta, rafforzava la coesione sociale, e non ci obbligava ad un utile… stato di guerra perenne.
Stasera ho visto un po’ di Ballarò: tutti a parlare della Noemi, i rappresentanti del nuovo grande “partito unico dei lavoratori”.
Quanto potrà durare?

lunedì 25 maggio 2009

LA SINDROME DI TAFAZZI

Tafazzi, è noto, è quel bieco personaggio del trio comico di Aldo, Giovanni e Giacomo, affetto da una singolare sindrome masochistica, che lo induce a godere delle “bottigliate” sui coglioni che è solito autoinfliggersi, per il divertimento del pubblico.
Se si leggono le cronache “politiche” delle ultime settimane, se ne ricava l’impressione che una sindrome di tal fatta abbia contagiato (per verità.. non da oggi) anche il cosiddetto “popolo della sinistra”; in particolare, il fenomeno risulta di immediata percezione ove ci si riferisca alla nota vicenda scandalistica che ha coinvolto il Presidente Berlusconi, in relazione a presunte frequentazioni (quantomai: PRESUNTE), con una giovanissima signorina dal promettente nome di NOEMI.
Mentre scrivo, la vicenda parrebbe essere stata definitivamente chiarita dal padre della ragazza, che con veemenza scagiona da qualunque sospetto il premier, e riconduce la questione ad una innocente amicizia intrattenuta dal padre della ragazza con Berlusconi, consolidata dalla solidarietà manifestata dal Presidente all’amico, nel momento in cui lo stesso si trovò ad attraversare dolorosissime vicissitudini personali.
Come mai Berlusconi non ha chiarito immediatamente i fatti, ma ha lasciato libero sfogo ai volgarissimi attacchi personali diretti al proprio indirizzo, assistendo inerte all’isterico crescendo rossiniano di calunnie in suo danno? Pare evidente: non avendo nulla da rimproverarsi, il vecchio saggio comunicatore ha colto l’occasione al balzo; ha atteso che le elezioni si avvicinassero, per spiegare la verità dei fatti solo nell’imminenza delle stesse, recando un incalcolabile danno politico di immagine e credibilità alla già martoriata controparte, penalizzata da una dirigenza politica che sarebbe generoso definire insulsa, e priva di qualunque lungimiranza nella determinazione delle strategie comunicative.
Ciò che mi colpisce di più, però, di tutta la vicenda, è la circostanza che il “popolo della sinistra” sembri non accorgersi dei drammatici limiti della propria leadership, accettando che i temi VERI di quello che dovrebbe essere il dibattito politico di una moderna democrazia occidentale vengano lasciati ad altri soggetti (si pensi al “fenomeno Beppe Grillo”, un intelligentissimo comunicatore… ignorante come una capra), mentre la più grande forza di opposizione del Paese si avvita su sé stessa, discutendo di volgari vicende personali, destinate poi addirittura a rivelarsi delle vere bufale.
Come è possibile? Come può il “popolo della sinistra”, che pure annovera tra i suoi milioni di “adepti” la parte forse più consistente della cultura italiana, quella più consapevole e motivata, lasciarsi addomesticare in questa maniera indegna, perdendo di vista i temi politici veri?
Il fenomeno è realmente singolare, ma sorge il sospetto che non si sia prodotto per caso, né in maniera autonoma.
Pare assai più ragionevole ritenere che la perdita progressiva della “consapevolezza sociale” degli elettori della sinistra sia stata un risultato fortemente voluto, ed alfine realizzato, da parte di coloro che, nel corso degli ultimi trent’anni, sono gradualmente riusciti ad anestetizzare il blocco sociale progressista, riducendolo a spettatore incattivito.. di un pessimo reality.
Qualcuno può in buona fede ritenere che la responsabilità possa essere attribuita a Berlusconi… o vorrebbe iniziare a riconoscere che sarebbe più intelligente guardare in casa propria?

domenica 24 maggio 2009

Questo blog nasce per permettere, ai pochi che ne abbiano voglia, di esprimere opinioni su fatti e persone che l’attualità ci propone e ci propina. Come su ogni altro blog, si commenteranno in prevalenza accadimenti politici e sociali, in ordine ai quali ci si scambieranno opinioni, valutazioni, minacce ed insulti…. Nell’intento, da ciascuno perseguito in buona fede, di lodare i buoni, e censurare i cattivi.
Facciamo le presentazioni: sono un elettore di “centro destra”, un liberale laico (un credente, laico) con un passato remoto di elettore radicale, rifugiatosi in Forza Italia, della quale ho preso la tessera il giorno immediatamente successivo alle elezioni del 2006, che videro la sciagurata vittoria di Pirro del governo di Romano Prodi.
Convinto da sempre che, in qualunque ordine sociale, il progresso nasca dalla mediazione tra gli opposti interessi di due gruppi sociali idealmente contrapposti (i “conservatori” ed i “progressisti”, presenti in qualunque società occidentale… normale), ho assistito sgomento nel mio Paese, nel corso di un trentennio, allo sgretolamento del “blocco progressista”, che ha abdicato alla sua funzione storica di garante dei diritti dei più deboli, per divenire gradualmente (ma inesorabilmente) immondo strumento di potere nelle mani di immensi interessi politico-finanziari globali, intenzionati a perseguire la logica unica del profitto, mediante gli strumenti della guerra perenne e della paura costante.
La sinistra italiana, ai miei occhi, incarna oggi il tentativo immorale di conseguire ciò che dichiara a parole di voler combattere, e cioè la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi grandi gruppi internazionali.
La cronaca quotidiana, a chi abbia la capacità di leggerla, svela a tutti il segreto di Pulcinella: il tradimento profondo della missione storica delle forze cosiddette progressiste.
Il tentativo, in larga parte realizzato, di concentrare ricchezza e potere traspare con drammatica evidenza, solo per fare un esempio immediatamente comprensibile, dal ruolo dominante (assunto in mancanza di qualsivoglia opposizione) dalla grande distribuzione, che ha distrutto la ricchezza diffusa di un popolo di piccoli lavoratori autonomi per creare un esercito di precari privi di diritti, nel silenzio osceno e complice di un sindacato rimasto a difendere solamente gli interessi degli impiegati statali, e di pochi altri pensionandi.
Le oscene politiche economiche perseguite con aberrante e feroce determinazione dal governo del professor Prodi, spacciate per liberalizzazioni, miravano scopertamente a realizzare ulteriori concentrazioni di ricchezza nelle mani della grande speculazione (si rammenti, a mero titolo esemplificativo, l’emblematica vicenda dei tassisti romani, quando apertamente i teorici del nuovo ordine economico – Giavazzi… ah, Giavazzi! - dichiaravano sui quotidiani nazionali, tradendo il dichiarato fine di voler avvantaggiare i consumatori: “La questione è… che non vogliono rassegnarsi a diventare dipendenti”). Gli attacchi al sistema degli Ordini, e del lavoro autonomo in generale (artigiani e commercianti al dettaglio, in primis), sono da iscrivere nell’ambito di questa straordinaria e preordinata azione liberticida, attuata con il favore e la complicità dei più grandi quotidiani nazionali, dei sindacati, della gran parte della intellighenzia universitaria, di ampi settori della magistratura.
Funzionali al disegno, contestuali campagne di spargimento di odio sociale (gli EVASORI… che nulla si è ritenuto di fare in concreto per costringere a venire allo scoperto), l’asserito desiderio di favorire la CONCORRENZA (realizzando nei fatti condizioni economiche di segno diametralmente opposto), le campagne per la LEGALITA’ (sempre, come nella migliore tradizione comunista… quella che riguarda gli altri).
La sinistra italiana non conduce battaglie politiche in favore delle energie rinnovabili; in difesa del carattere pubblico dell’acqua (tema centrale del futuro dei nostri figli); contro il nucleare e contro gli inceneritori (con macabro senso dell’humour ribattezzati “termovalorizzatori”); in favore di politiche intelligenti e sostenibili della necessaria integrazione degli extracomunitari.
La sinistra italiana non si accorge della condizione dei precari italiani, non parla nemmeno più dei “lavoratori”, ma sempre mostra attenzione ad oltranza per le “imprese”, che in Italia si chiamano Agnelli, Tronchetti Provera, Tanzi ed altri simboli del parassitismo nostrano.
La sinistra italiana prende invece ad inseguire la destra sul terreno (a lei storicamente più congeniale) della diffusione di stereotipi xenofobi, al dichiarato fine di acquisire consenso a buon mercato; corteggia il sistema dei grandi gruppi bancari, nel quale cerca di intrufolarsi, calunniando e perseguendo i magistrati coraggiosi che cercano di far luce su operazioni delinquenziali di basso profilo.
Questo lo stato dei fatti.

Il Presidente Berlusconi, per quanto ciò possa suonare paradossale, costituisce in questo contesto un argine contro l’attacco finale portato alla società dai grandi gruppi del malaffare globale, proprio in virtù del suo potere PERSONALE, oggetto di tante critiche e timori, e di una naturale tendenza alla CONSERVAZIONE (l’anagrafe, da questo punto di vista, costituisce una… ulteriore garanzia).
La sua permanenza al potere, è oggi condizione vitale per il Paese, nella speranza che la gravità della crisi economica conduca alla definitiva delegittimazione di questa SINISTRA FASCIO-FINANZIARIA, ed alla emersione di forze realmente progressiste, che sono quanto mai vive, seppur prive di voce.
Il “popolo della sinistra”, rimbecillito dalla quindicennale campagna mediatica di criminalizzazione e sistematica diffamazione del leader del centro destra, non possiede più la capacità di discutere di POLITICA…. come tossicodipendenti dallo sguardo annebbiato, riescono a vedere solo IL NEMICO da abbattere con ogni mezzo, spingendosi a teorizzare la non piena funzionalità democratica del sistema, inquinata dal presunto completo controllo del sistema dell’informazione (una bufala talmente risibile da non meritare commento).
La discussione “politica” si spinge da ultimo sulla condanna morale di tipo familiare, in virtù di presunte vicende concernenti relazioni personali, secondo logiche altamente censurabili di derivazione anglosassone, sinora del tutto estranee (per fortuna) alla nostra tradizione culturale.
Il “popolo della destra” ha invece compreso perfettamente (sia pure talora in maniera non del tutto consapevole) il ruolo (allo stato insostituibile) di Silvio Berlusconi.
E non manca di tributare, a quella che individua come la sua “ultima spiaggia”, il consenso più ampio.