lunedì 29 giugno 2009

Fascimpresismo… di ritorno

La ridicolizzazione dell’avversario politico, mi viene detto, è da sempre una delle tecniche adoperate dai sostenitori dei regimi totalitari, per negare il valore delle argomentazioni, e dunque le giuste ragioni, delle opposizioni.
Per la verità non sono del tutto d’accordo: normalmente nei regimi totalitari di negare le possibilità di espressione delle minoranze (e più spesso delle maggioranze) si occupano, a seconda delle esigenze, gli eserciti, la polizia, la magistratura, ed un certo tipo di intellettuali.
Ciò si verifica però di norma quando un’opposizione vi sia, quando cioè la consapevolezza della pericolosità sociale di determinati assetti politici, finanziari, economici e sociali, sia ben stata compresa dalla maggioranza (o da un’illuminata minoranza) del corpo sociale.
In Italia la crescita della consapevolezza riguardo alla pericolosità di certe pericolosissime dinamiche, mi pare sia invece ancora a livelli inquietanti.
Il dibattito politico è interamente assorbito da discussioni concernenti la vita privata dei protagonisti della scena, con possibili sviluppi ancora inimmaginabili, ma certo poco rassicuranti; mentre tra insulti, sceneggiate quotidiane, e discussioni da “lavandaie”, i veri temi della politica sono del tutto oscurati.
Il Paese dovrebbe democraticamente interrogarsi, e proporre soluzioni quanto più possibile condivise, sui temi globali dello sviluppo sostenibile migliore, il che vuol dire temi ambientali, della ricerca, del controllo dello Stato sulla finanza e sull’economia, sui mezzi di informazione, sulle infinite questioni morali (e non solo sui conflitti di interesse… palesi), sui sostegni ai meno autonomi, su una lotta all’economia sommersa che non si basi esclusivamente (come sempre è accaduto nel passato) su ridicole rappresentazioni teatrali dagli effetti concreti nulli, bensì sulla individuazione delle vere significative evasioni, dalla sottoposizione agli obblighi fiscali.
Perché abbiamo un’opposizione che, anziché richiamare ossessivamente le dette questioni, esercitando una potente attività di stimolo sul governo della maggioranza, e pretendendo il riequilibrio solidale della ricchezza prodotta e la sua redistribuzione, si esercita nell’attacco sterile, smodato e scorretto nei confronti del leader più e più volte democraticamente designato dalla maggioranza dei cittadini?
E’ solo questione di incapacità ed inconcludenza, o vi è di più?
Non c’è dubbio che l’opposizione in Italia attraversi un momento drammatico: la scelta demenziale di puntare tutto sulla innaturale convivenza forzata di ex comunisti, presunti new progressisti, e cattolici oltranzisti, ponga il fronte oggi minoritario dell’opposizione in una situazione di estrema difficoltà: ogni qual volta si tratta di operare una scelta di campo (ed il governo di Romano Prodi ne è stato l’esempio) vengono alla luce tutte le più profonde ed inconciliabili differenze, mentre vi è una difficoltà gigantesca persino nella redazione di un programma minimo comune di governo da sottoporre al giudizio dei cittadini, di tal che l’impressione che si ricava è quella di un fronte disomogeneo e caotico, nel quale nessuno è in grado di decidere alcunchè.
L’antiberlusconismo è l’unico collante possibile: ma quando arriva il momento di operare delle scelte, ciò si rivela assolutamente impossibile.
La domanda che tutti si pongono, però è un’altra: l’immenso potere del Presidente del consiglio, costituisce oppure no un ostacolo per lo sviluppo democratico del Paese? Può addirittura costituire l’anticamera di un regime (come sostengono con una puntina di isteria autorevoli commentatori), nel quale gli spazi dell’informazione, delle libertà individuali, vengano ad essere seriamente compromessi?
Tali quesiti ovviamente vengono prima dell’altra grande questione (questa invece ben fondata): può far bene ad una nazione la perenne difficoltà di un ricambio, dal momento che la fondamentale azione di riequilibrio e redistribuzione della ricchezza prodotta appare difficilmente perseguibile da un esponente della grande imprenditoria, che certo dovrebbe avere a cuore le categorie privilegiate ben più di quelle dei meno abbienti, dei più deboli?
La questione è complessa: e non vi è dubbio che un sano ricambio appaia in linea di massima imprescindibile per il dispiegarsi armonico delle dinamiche democratiche di una nazione occidentale moderna.
Il problema però è che, a quanto appare, oggi in Italia si verifica un fenomeno assolutamente singolare, forse unico nel panorama internazionale dei paesi occidentali: la sinistra italiana ha vissuto, e vive, una crisi identitaria drammatica, che l’ha condotta a tradire la propria funzione sociale storicamente determinata (che è quella di un progresso… meno iniquo), per aderire acriticamente alle ragioni del grande capitale nostrano ed internazionale, nella speranza vana di poter trarre sostegno e mezzi per rovesciare “il nemico di sempre”.
Berlusconi è un imprenditore anomalo: da sempre estraneo al giro dei “salotti buoni”, ha costruito con mezzi (qualche volta ritenuti discutibili) un potere personale immenso, in grado di fronteggiare da solo (non sempre nell’interesse comune) le scelte della tradizionale impresa italiana parassitaria ed assistita (il riferimento agli Agnelli, ed al loro lacchè Montezemolo, appare doveroso, in quanto dotato di potente significato emblematico).
Il modo indecentemente aggressivo ed insensato con il quale il governo di Romano Prodi ha favorito i “poteri forti” è sotto gli occhi di tutti: senza una maggioranza in grado di sostenerne l’azione, sono state (sono solo pochi esempi) svendute le uniche tratte ferroviarie produttive ad una società mista Montezemolo-Della Valle, e si è favorita oltre ogni limite di decenza la Fiat, e la costellazione delle imprese collegate (con il suo costituire, ancora e sempre, il simbolo di quella imprenditoria che socializza le perdite e capitalizza – ormai quasi sempre all’estero - i profitti).
Si è tentato di favorire il grande capitale tramite misure folli (si pensi alla previsione demenziale dell’ingresso dei soci di puro capitale negli studi legali; si pensi all’attribuzione alla grande distribuzione della produzione di farmaci, e della distribuzione dei carburanti; si pensi al tentativo di rendere i tassisti dipendenti… di chi e perché non è stato dato sapere).
L’unico soggetto sociale degno di attenzione (servile, attenzione) diviene l’impresa; non quella, ovviamente, dell’artigiano o del professionista (additati, anzi, al pubblico ludibrio come pericolosi evasori, oscuri adepti di caste iniziatiche titolari di immeritati privilegi socialmente improduttivi), bensì l’impresa del grande capitale.
Quel grande capitale che, mosso dall’ideologia unica dell’aumento perenne dei profitti accompagnato dalla diminuzione dei costi, torna oggi alla carica: con una campagna mediatica senza precedenti, alla quale fanno da cassa di risonanza i quotidiani ed i settimanali (Repubblica; L’Espresso) del buon De Benedetti, ed il Corriere della sera (della Fiat, ed altre undici mega imprese nazionali).
Chi di de Benedetti abbia voglia di leggere la biografia (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_De_Benedetti) si stupirà di ritrovarlo coinvolto in praticamente tutte le vicende del malaffare nostrano degli ultimi trent’anni; ma sono probabilmente storie vecchie, errori di… gioventù destinati a non ripetersi, da quando l’ingegnere nel 2005 ha definitivamente trasferito (come molti altri imprenditori nostrani) tutte le proprie sostanze in società interamente o parzialmente costituite all’estero.
Quell’estero… così vicino, dal quale le pubblicazioni di Murdoch, concorrente dalle dimensioni elefantiache globali, continuano ogni giorno ad aggredire senza pudore il piccolo italiano che si è fatto da solo, e che persegue testardamente le proprie politiche di governo, certo non con l’ideologia di un uomo di sinistra, ma senza cedere oscenamente alle pressioni di quei poteri forti, che posseggono nomi e cognomi, per chi possegga la capacità di leggerli.
E di fronte alla cui bestiale aggressività anche prendere tempo… costituisce per il Paese un’ineludibile necessità difensiva.

2 commenti:

  1. piccolo italiano6/30/2009 09:33:00 AM

    "Il pìccolo italiano che si è fatto da solo" è il Berlusca, no? Chi? Il più corrotto, il più opaco, il più fascista, il più violento di tutti? Il padrone di televisoni, assicurazioni e giornali? Il cocainomane amico del peggio del pianeta? Berlusca? Quello ceh ha dato seicentomila euro a un impresario per mentire? Proprio lui? Quello della "legge Craxi? Quello delle leggi ad personam? Il "piccolo italiano" delle leggi xenofobe e liberticide? Quello che non sa che cos'è la divisione dei poteri? La domanda sorge spontanea: ma ci sei o ci fai?

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  2. Ci siamo... in tanti, e per fortuna.

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